Giovanelli analizza l'ItalRugby
Sei Nazioni
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Tuesday March 17th @ 8:55AM CETMalfatto scrive:
Lo storico capitano della Nazionale Massimo Giovanelli analizzaimpietosamente i dieci anni dell’Italia nel torneo delle Sei Nazioni
«Piuttosto di un oriundo farei giocare un giovane»
«I risultati dimostrano una debacle tecnica con quattro allenatoricambiati. E la Celtic League può rivelarsi un danno»
Roma
NOSTRO INVIATO
La buona prestazione dell’Italia contro il Galles (sconfitta15-20) nel 4. turno del torneo fa piacere, ma non cambia la sostanza.
Dieci anni di Sei Nazioni sono un fallimento o quasi. Parola diMassimo Giovanelli. Storico capitano azzurro. Protagonista con laNazionale di Coste dell’ammissione al torneo. Ex componente dellostaff azzurro, ora oppositore della gestione federale tanto da«restituire i biglietti per la partite se mi arrivano».
Punto diriferimento della stampa estera (in studio alla Bbc detentrice deidiritti tv del torneo, citato da Stephen Jones del Times).
Da dove comincia per un bilancio?
«Dal fatto che continuiamo a vivere nella giustificazione che laFrancia ci ha messo più di trent’anni per arrivare ai vertici deltorneo. Il paragone non regge. E dopo 10 anni non possiamo piùaccontentarci, servono i fatti. Ci siamo presentati con credenzialiforti all’ingresso nel Sei Nazioni. La Nazionale della mia generazionebatteva regolarmente Scozia, Irlanda e se la giocava con il Galles. Sisarebbe piazzata normalmente al 3. posto del torneo.
Invece ci siamoaccontentati, e i risultati si vedono».
Parlano di 42 sconfitte, 6 vittorie, un pareggio, tre cucchiaidi legno e un quarto potenzialmente in arrivo in dieci anni.
«I risultati dimostrano una debacle tecnica.
Quattro allenatoriin dieci anni significano impossibilità di programmare a medio-lungotermine e di lavorare bene con i giovani. Due di questi ct (Johnstone,Kirwan) e prima Mascioletti abbiamo tra l’altro continuato a pagarlidopo averli cacciati. Ora magari toccherà anche a Mallett.
Chi hafatto queste scelte tecniche? Se è stata una commissione, uno staff,vanno rivisti.
Se è stata una persona sola va cambiata, non deve piùfarlo. Mi pare evidente».
La spiegazione data dal clan azzurro è sempre la stessa: i clubsono imbottiti di stranieri e oriundi mediocri, non danno spazio agliitaliani, non producono un campionato di livello sufficiente asupportare le prestazioni della Nazionale.
«Anche dieci anni di Europa dei club sono stati un fallimento, aparte qualche sporadica vittoria. Ma sul fronte dell’utilizzo dioriundi ed equiparati mediocri la prima a dare il segnale è stataproprio la Nazionale, nel 1999. I club hanno seguito la strada.
Galleso Inghilterra ne usavano un paio, di talento. Mi ricordo ad esempioMike Catt. Noi ne abbiamo fatto un uso sempre più massiccio e di bassolivello.
Oggi ad esempio al posto di un Robertson farei giocare sempregiovani come Bacchetti, Quartatoli o Rubini.
Zanni non dovrebbe maistare in panchina per Sole. Invece...».
La Celtic League è vista come la soluzione ai problemi. Domaniil presidente Giancarlo Dondi ha annunciato un incontro forse decisivodel board di Galles, Irlanda e Scozia sul nostro ingresso.
«Se fatta male la Celtic può essere un danno, non una soluzione.
Un macigno che schiaccia una pianta in difficoltà, com’è il nostromovimento. Cosa vanno a raccontare ai loro sponsor e sostenitori iclub che vengono relegati in una competizione di livello ancora piùbasso e privo di interesse? Non pensiamo che due selezioni di 60giocatori possano supportarci a dovere per un buon Sei Nazioni.
Bisogna mettere in campo contemporaneamente alla Celtic la formazionesui quadri tecnici che non abbiamo; un lavoro capillare sui settorigiovanili; un progetto serio per una manifestazione interna di altolivello, che salvi le forza vitale dei club.
È dai loro vivai infattiche escono i giocatori per la Nazionale».
Lei cosa avrebbe fatto?
«Un Super 10 fortissimo, con grandi investimenti. Per sostenereil rugby nelle piazze storiche che ne sono la linfa e per svilupparlonelle grandi città. Siamo un Paese di 50 milioni di abitanti. Sevogliamo diventare il secondo sport di squadra dopo il calcio dobbiamoavere realtà forti a Milano, Palermo, Venezia. Non due selezioni eintorno il deserto.
Continueremo ad avere un movimento che è come ungrattacielo, al quale stiamo costruendo e abbellendo i pianisuperiori, ma del quale non abbiamo ancora gettato le fondamentaperchè resti in piedi».
Ivan Malfatto
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